LE INTERVISTE DI B&P: LUISA VINCI, DIRETTORE GENERALE DELL’ACCADEMIA TEATRO ALLA SCALA

Apriamo le interviste del 2022 con Luisa Vinci. Diplomata in Trombone presso il Conservatorio Giuseppe Verdi di Como, collabora con orchestre sinfoniche, ensemble e orchestre specializzate nel repertorio barocco e rinascimentale. Studia lettere e filosofia presso l’Università Statale di Milano e frequenta nel 1988 la prima edizione del Master in management per le performing artspresso l’Università LUISS di Roma. Nel 1992 inizia la collaborazione con la casa editrice Sugar dove ricopre il ruolo di Responsabile della promozione del catalogo di musica classica e contemporanea Suvini Zerboni. Nel 2000 entra in Ricordi-Bmg, ricoprendo il ruolo di Direttore della promozione e dal 2006 è Direttore generale dell’Accademia Teatro alla Scala. Ha avuto innumerevoli collaborazioni con le più prestigiose istituzioni musicali, in Italia e all’estero, ed ha collaborato come professore a contratto con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Nel massimo rispetto di tutte le procedure sanitarie, abbiamo organizzato questa intervista in presenza presso la sede di via Santa Marta, all’interno di uno storico palazzo milanese intitolato “Scuola di incoraggiamento di arti e mestieri”. Una nota originale e curiosa: entrando nel cortile di via Santa Marta siamo stati accompagnati (purtroppo per soli pochi passi) dalle note di Mozart e a seguire di Puccini. Un avvio non solo, sin da subito, in linea con il mondo che si andava a conoscere ma anche piacevole nell’accoglienza che abbiamo ricevuto e stimolante per la ricchezza degli argomenti che avremmo discusso.

Come sempre lasciamo al lettore il piacere dell’approfondimento.

Ciò detto, vorremmo sottolineare alcuni aspetti che riteniamo interessanti. Innanzitutto, l’Accademia Teatro alla Scala è un ambiente giovane (gli allievi hanno mediamente un’età compresa tra 6 e 30 anni) ed è gioco forza che ci si senta “proiettati” nel futuro. Ci ha colpito poi in particolare l’atteggiamento che l’Istituzione ha nei confronti degli allievi, da un lato un mix di affetto e attenzione nei confronti di ciascuno dall’altro grande rigore, regole severe e forte responsabilizzazione. L’intervista con Luisa Vinci ci ha fatto comprendere che il mondo dello spettacolo dal vivo non è solo faticoso ma anche molto impegnativo e richiede di fondo elevata maturità a tutti coloro che vi prendono parte, prescindendo dall’età anagrafica. Maturità significa anche accettare che qualcuno sia più bravo di te, senza che ciò generi frustrazioni né alimenti invidie ma sia al contrario di stimolo per continuare ad impegnarsi e migliorarsi. Al riguardo, nasce spontanea una riflessione: è così anche nel tradizionale mondo del lavoro?

Ci è parso giusto aprire l’intervista con la locandina relativa all’apertura della stagione del Teatro alla Scala del 7 dicembre 2020, locandina che vorremmo rappresentasse idealmente i tantissimi spettacoli messi in atto da questo teatro eccezionale. Ci sono tanti nomi, alcuni prestigiosi, alcuni noti altri meno, tutti però accomunati dallo stesso progetto, dove ognuno fa la sua parte e il successo alla fine è di tutti. Uno straordinario esempio di lavoro di squadra.

E ora spazio all’intervista.

L’Accademia del Teatro alla Scala è un’Istituzione con oltre 200 anni di storia, il cui nome stesso (Accademia) ricorda il luogo nelle vicinanze di Atene dove nel 387 a.C. Platone iniziò il suo insegnamento, che dimostra sempre più una vitalità straordinaria ed un costante successo a livello internazionale. Qual è il “segreto” di tale vitalità e come si fa a mantenerlo nel tempo?

Direi che abbiamo un segreto, ma anche un mix di peculiarità distintive. L’Accademia del Teatro alla Scala (a seguire Accademia) è nata come Fondazione una ventina di anni fa, però la scuola di ballo è stata fondata oltre 200 anni or sono, mentre l’accademia di canto fu creata da Arturo Toscanini e la scuola di scenografia da Tito Varisco negli anni ’70. E qui veniamo al segreto: l’Accademia vive perché è capace di trasmettere il “sapere” proprio ed originale del teatro, dalla confezione di un costume ad un’idea della luce piuttosto che una serie di competenze legate ai mestieri dello spettacolo teatrale. Proprio come nella bottega rinascimentale maestro e discepolo studiavano e lavoravano assieme, imparando facendo, così l’Accademia da dipartimento di scuola e formazione del Teatro alla Scala si è impegnata a realizzare il desiderio di trasferire il “sapere scaligero” ai mestieri tipici del mondo dello spettacolo. Per usare un’espressione propria della cultura manageriale è stato staccato un ramo di azienda non solo per dare all’Accademia una vita propria, la possibilità di svilupparsi e di avere un respiro sempre più internazionale, ma anche per proporsi come realtà competitiva anche sotto il profilo economico, capace cioè di vivere di luce propria sotto il profilo finanziario e ciò, in particolare, ha comportato il non facile passaggio dalla gratuità dei corsi al pagamento delle rette. Oggi l’Accademia è strutturata in quattro dipartimenti (Musica, Danza, Palcoscenico-Laboratori, Management), propone 40 corsi, ha 800 allievi che frequentano corsi professionali e altri 800 (per lo più bambini) che frequentano corsi extrascolastici. A ciò si aggiungono 5 nuovi trienni dedicati al palcoscenico e al management e in un prossimo futuro un campus universitario di 20.000 metri quadri.

Ma l’Accademia oltre al “segreto” che vi ho svelato sa anche unire in modo straordinario la forza della tradizione con la continua propensione all’innovazione in tutti i settori dello spettacolo, così da garantire nel tempo l’eccellenza degli insegnamenti. Non dimentichiamo poi che i docenti dell’Accademia sono le maestranze e gli artisti del Teatro alla Scala oltre ad un gruppo di professionisti accreditati di fama internazionale: indiscutibilmente un parterre du roi.

Quanto conta l’innovazione in un contesto di eccellenza dove si insegnano professioni che hanno radici lontane nel tempo e di grande fascino come la danza, il canto, la musica? Si può far convivere in modo proficuo la ricchezza di una storia prestigiosa con il dinamismo di un futuro sempre più accelerato e tecnologico? Se sì, come?

Ritengo che vi siano due aspetti che possono influenzare positivamente il rapporto tra passato e futuro. Il primo aspetto, a cui tra l’altro la Comunità Europea tiene molto, riguarda la mobilità dei giovani e questo significa concretamente formare delle persone aperte al confronto, attente alle dinamiche proprie del cambiamento, desiderose di confrontarsi apertamente con tutti, capaci di girare il mondo. Il secondo è la capacità di creare rete tra il mondo dell’insegnamento (l’Accademia in questo caso) ed il mondo del lavoro (i vari teatri) non solo per motivi strettamente economici, ma anche tecnologici ed organizzativi. Gestire in modo efficiente il nostro magazzino di Pero, dove sono raccolti 70.000 costumi (tra i tanti quello indossato da Carla Fracci nell’interpretazione di Giselle) è in fondo un lavoro proprio della supply chain, lavoro delicato e originale sì, ma pur sempre di supply chain.

Quando si pensa allo spettacolo spesso si fa riferimento ai “singoli”: l’étoile, il solista, lo scenografo, il direttore d’orchestra. Ma lo spettacolo è anche un grande lavoro di gruppo, in cui tutti hanno la loro parte, pur piccola talora. Nel percorso di crescita e di formazione dei giovani come si può valorizzare la potenzialità dei singoli e, nel contempo, favorire la propensione a fare squadra?

L’Accademia, anche nella sua veste futura di struttura universitaria, sarà sempre caratterizzata da “numeri piccoli” non tanto perché ritiene importante evitare di creare difficoltà nell’inserimento dei giovani in un mondo del lavoro che è pur sempre caratterizzato da un numero limitato e ben definito di opportunità professionali, ma perché considera imprescindibile seguire da vicino i propri allievi direi sino al momento dell’assunzione, ad esempio, in un teatro. Il percorso formativo prevede che gli allievi abbiano momenti di lavoro/studio individuale alternati a momenti di lavoro corale: così per quanto riguarda l’orchestra gli allievi frequentano lezioni individuali/frontali con lo strumento ma poi tutti assieme partecipano ad esercitazioni e produzioni. Lo stesso si può dire del ballo, come pure della sartoria (quest’ultima comporta un impegno di circa 1.800 ore/anno). Per poter lavorare all’interno di una macchina complessa come il teatro è fondamentale che ciascuno impari ad ascoltarsi, anche con una buona dose di sana severità. Siccome poi il teatro, come l’azienda, vive di filiera questa deve funzionare con i ritmi ed i tempi giusti, dove ognuno fa la sua parte: di fatto, un gran bel lavoro di gruppo.

Quali sono le sfide professionali che lei deve affrontare nel gestire una struttura formativa di notevoli dimensioni per il numero di persone coinvolte (circa 1.800 persone di età compresa tra 6 e 30 anni) e di grande complessità per la natura stessa e la varietà delle materie insegnate? Si tratta di un insieme di qualificati percorsi professionali diversi l’uno dall’altro oppure c’è anche un DNA che li accomuna, una specie di stile “Accademia del Teatro alla Scala”?

Vorrei innanzitutto sottolineare il grande senso di appartenenza che caratterizza in primis coloro che lavorano in Accademia: mi verrebbe da dire un grande attaccamento al marchio. Questo che si potrebbe definire il “sistema Scala” viene trasmesso dagli insegnanti e viene progressivamente assorbito e fatto proprio dagli allievi, quando sempre più si rendono conto che il loro sogno si sta avverando. “Se hai un sogno portalo da noi” è un claimdell’Accademia a cui sono molto affezionata. In ogni caso il sogno, una volta che si è superato l’esame di ammissione che di per sé è già un notevole barrage, è strettamente legato sia al desiderio di capire nel profondo cosa significhi lavorare nello “spettacolo dal vivo” (opera, balletto, concerto) sia alla consapevolezza di quanto sia importante collaborare in modo stretto con i propri colleghi, con i quali condividere il senso di appartenenza ed il sapere ascoltarsi.

L’espressione “Pathei mathos” tratta dalla tragedia Agamennone di Eschilo ricorda quanto sia faticoso l’apprendimento, molto probabilmente una delle principali difficoltà che gli allievi incontrano soprattutto all’inizio del loro percorso formativo. Un “antidoto” alla dura fatica potrebbe essere, oltre alla motivazione e alla passione dei singoli, il learning by doing, proprio dell’Accademia del Teatro alla Scala? Esiste una specie di “vaso comunicante” tra mondo del lavoro e Accademia del teatro alla Scala? Si tratta di un vaso comunicante a due vie?

Partirei parlando della competizione che è moto forte all’interno dell’Accademia, in particolare quando ci si trova di fronte, in alcuni momenti particolarmente fortunati, a tanti allievi che abbiamo già individuato essere dei talenti. In una situazione in cui il livello degli studenti è in generale molto elevato è necessario saper gestire la frustrazione nell’accettare che qualcuno sia più bravo di te: non tutti possono essere a 26 anni étoile al Bolshoi di Mosca come Jacopo Tissi, ma si può essere comunque ottimi ballerini di fila. Ed ecco il primo antidoto: evitare di coltivare quell’arida invidia che non porta da nessuna parte ma sforzarsi di essere “spugna” nel cogliere tutte le occasioni di miglioramento, anche quelle piccole. Dico spesso agli allievi quanto sia importante “imparare a declinare sé stessi con fantasia”, sapendo accettarsi con serena umiltà: questo è il secondo antidoto. Questi antidoti possono inoltre aiutare gli allievi a inserirsi in modo corretto e proficuo nel mondo del lavoro e il mondo del lavoro – a sua volta – trarre vantaggio nel valorizzare giovani maturi e disponibili. La sana competizione può influire positivamente sulla crescita professionale e personale degli allievi? Probabilmente sì, ma questa risposta necessita di ulteriori approfondimenti che sono all’attenzione dell’Accademia.

L’Accademia del Teatro alla Scala, guardandola in filigrana, appare quasi come una pépinière, dove vengono coltivati moltissimi fiori che pur appartenendo alla stessa specie (potremmo dire al mondo dello spettacolo) sono assai diversi tra di loro: ognuno ha la sua storia ed il suo orizzonte. Come si fa a farli crescere in modo tale da rispettare e valorizzare le loro potenzialità? Quanto conta non solo la bravura ma soprattutto la leadership degli insegnanti?

Il rapporto strettissimo che si crea tra maestro e allievo e soprattutto quell’”imparare facendo” proprio dell’Accademia sono i cardini su cui si regge la valorizzazione del nostro patrimonio umano. A ciò si aggiunge il fatto che il numero degli allievi, storicamente assai limitato, resterà sempre entro numeri contenuti: il nostro obiettivo è quello di divenire la “Normale di Pisa dello spettacolo”. Il rapporto tra maestro e allievo è anche delicato in quanto c’è pochissimo di “scritto” e molto di “vissuto”. Oltre alla presenza dei maestri in Accademia della Scala vi è poi un continuo passaggio di importanti personaggi che operano nel mondo del teatro, dal general manager del Metropolitan di New York, al costumista della prima della Scala, al coreografo che ha curato un balletto di George Balanchine e sta agli allievi catturare queste straordinarie opportunità. Curiosità, intraprendenza, passione sono indispensabili per crescere e ampliare il proprio bagaglio professionale, senza mai dimenticare però la dedizione nel seguire impegnativi corsi (studio e lavoro) di 1.200-1.300 ore/anno. Si comprende così perché l’Accademia sia molto rigorosa nella gestione di tutto il processo di selezione che coinvolge numerosissimi candidati: prova di cultura generale, prova pratica specifica per ogni disciplina e colloquio motivazionale che per noi è il momento più importante. Il bassissimo tasso di abbandono ci ha confortato e ci conforta nel mantenere standard severi per entrare in Accademia: è anche una forma di doveroso rispetto nei confronti di coloro che inizieranno i nostri corsi ed inizieranno così la loro carriera nel mondo dello spettacolo.

Quali consigli darebbe a dei giovani che vogliono frequentare i corsi dell’Accademia del Teatro alla Scala? Cosa suggerirebbe di evitare?

Sarò estremamente sintetica. Ai giovani suggerirei di avere innanzitutto un buon livello di cultura generale (quantomeno conoscere ad esempio alcuni dei grandi maestri come Franco Zeffirelli, Luchino Visconti, Riccardo Muti, Giorgio Strehler), in secondo luogo grande determinazione e fiducia in sé stessi (gli inizi sono assai impegnativi per tutti), infine quell’umiltà di fondo che consente di saper ascoltare, essere “spugna”, convivere con tutti, adattarsi alle varie situazioni.

E non dimentichiamo la conoscenza delle lingue, indispensabile per essere…allievi del mondo.