TECNOLOGIA DIGITALE E SELEZIONE: CRITICITA’ MANIFESTE E LATENTI

Renato Boniardi, Presidente di Boniardi&Partners
Francesca Puddu, Senior Partner di Boniardi&Partners

PREMESSA

Nel 2013 Hartmut Rosa, professore di Sociologia e Scienze Politiche presso l’Università di Jena, scrisse un interessante libro dal titolo Social acceleration: a new theory of modernity in cui l’autore sostiene che nella nostra epoca l’accelerazione tecnologica ha determinato una crescente accelerazione nei comportamenti sociali e dei singoli individui: uno scenario che l’autore ritiene denso di criticità e di patologie.

Come sappiamo, il mondo è sempre stato attraversato da rivoluzioni tecnologiche, partendo dalla scoperta del fuoco per arrivare al nucleare: nell’arco dei secoli l’uomo ha potuto però assimilare e gestire l’impatto di questi profondi cambiamenti. Negli ultimi vent’anni, lo sviluppo tecnologico – guidato tra gli altri dalla genetica, dall’elettronica, dal digitale, dai nuovi materiali – è stato diffuso, vorticoso, quasi irrefrenabile. In questo caso l’uomo non ne è stato travolto, anzi ha avuto il vantaggio di trarne molti benefici. In passato nei confronti della tecnologia l’uomo aveva talora un atteggiamento timoroso e prudente; ultimamente il suo rapporto verso la tecnologia è mutato, un misto di curiosità, di passione, quasi di sfrontatezza. Lo si vede in particolare nell’utilizzo quotidiano che l’uomo fa di personal computer e di cellulari senza quasi mai conoscere a fondo il loro funzionamento. “Datemi una leva e vi solleverò il mondo” pare che dicesse Pitagora. E’ così arrivato Internet, strumento straordinario nella sua immediatezza, che consente al singolo individuo di essere più autonomo rispetto al passato nel cammino della conoscenza e nell’organizzazione della propria esistenza. Opportunità straordinaria, ma anche rischiosa, se pensiamo ad esempio al crescente “fai da te”, anche nel campo della salute. Quest’ultimo atteggiamento è diventato sempre più pervasivo nella nostra vita quotidiana senza quasi che ce ne rendessimo conto. Spesso di fronte ad un problema o ad una curiosità la prima cosa che si fa è accendere il computer e navigare su Internet: una specie di riflesso condizionato, che può variare dalla ricerca di una ricetta di cucina all’individuazione di una persona da assumere. Internet può offrire inoltre più ricette della pasta alla Norma e in sostanza, allo stesso modo, proporre tanti curriculum ad esempio di Direttore Marketing. Ancor di più, Internet consente praticamente a tutti un accesso illimitato e fornisce un archivio aggiornato e quasi inesauribile di curriculum: addirittura potrebbe non essere necessario arrivare a definire una rosa finale di candidati, ma sarebbe possibile “scegliere fior da fiore”.

Internet ci renderebbe quindi improvvisamente medici, chef e selezionatori qualificati? Parrebbe di sì, ma il rischio che si corre può portare a commettere gravi errori o, al meglio, affidarsi a superficiali e poco convincenti soluzioni.

Il processo di selezione – non dimentichiamoci che di processo si deve parlare – è articolato in più fasi: dalla evidenziazione di una necessità organizzativa o di una nuova figura professionale, alla scelta e all’inserimento di un nuovo collaboratore. Senza voler pedissequamente ripercorrere le fasi del processo, vorremmo evidenziare alcune criticità e sollevare qualche dubbio che possono derivare dall’utilizzo di portali e canali digitali, strumenti preziosi ed irrinunciabili, che richiedono però di non essere sottratti alla competenza dell’uomo. Non a caso il titolo del nostro scritto trae spunto dall’insegnamento di Robert Merton (1910-2003), uno dei principali esponenti del funzionalismo sociologico, secondo il quale ogni fenomeno sociale evidenzia delle funzioni manifeste, ovvero quelle che sono volute e riconosciute, ma anche delle funzioni latenti che non sono volute e riconosciute dagli individui e che talora possono contraddire quelle manifeste. Come questa distinzione tra funzioni manifeste e latenti può trovare ad esempio applicazione nel campo del diritto (quante norme accanto agli scopi espliciti e dichiarati ne raggiungono altri non programmati e talora più significativi), così nel campo della tecnologia digitale utilizzata nel campo della selezione si pongono problematiche similari. In quest’ultimo caso la sfida è quella di evitare “cortocircuiti”, facendo sì che la tecnologia sia prezioso aiuto e non inutile – se non addirittura perniciosa – complicazione.

IL PROFILO PROFESSIONALE

E’ il cardine di partenza della selezione che farà da faro e da guida a tutto il percorso e che pertanto non deve essere modificato a meno che nel corso della selezione siano emersi elementi tali (ad esempio il livello retributivo) che ne suggeriscano la modifica. Spesso le ricerche prendono in considerazione dei profili “tradizionali” che sembra non meritino particolari approfondimenti. Ma siamo sicuri, ad esempio, che il ruolo del Chief Financial Officer di oggi sia uguale a quello di cinque anni fa? E il Marketing Manager che opera nel mondo del Fast-Moving Consumer Goods deve provenire per lo più da studi economici o in determinate situazioni una laurea in Filosofia oppure in Matematica potrebbe portare una ventata di preziosa novità e suggerire approcci innovativi? In situazioni come quelle che stiamo vivendo ci possono essere delle nuove soft skills rispetto alle tradizionali quali leadership e capacità di fare squadra? La nostra esperienza ci suggerisce quanto sia importante individuare – possibilmente in tutte le ricerche – quell’elemento o quegli elementi che possano portare un quid novi all’interno dell’azienda.

IL CAMPO DI RICERCA

Il campo di ricerca volto a individuare la provenienza ottimale dei candidati ha due “paletti” imprescindibili: i settori di business e le aziende. Da tempo è diffusa la tendenza a concentrare l’attenzione, specialmente all’avvio della selezione, sullo stesso settore e sulle società concorrenti: atteggiamento comprensibile, in certi casi consigliabile, che tende però a individuare candidature “simili” per logiche di business e di mercato, che dovrebbero assicurare un rapido e positivo inserimento, anche se ciò non è automatico, senza portare più di tanto novità significative. In certi casi ci si può accontentare di coprire al meglio la posizione in una specie di aurea continuità. Nulla in contrario. Chiaramente non esiste “l’uomo per tutte le stagioni”, ma una lettura più ampia, approfondita e perché no “intelligentemente spregiudicata” di settori e al loro interno delle società che vi operano potrebbe arricchire il panorama delle candidature. In certi casi si è anche obbligati ad uscire “fuori dal coro”: dove trovare competenze evolute e di primissimo livello in campo digitale, nel mondo dei big data o dei medical devices? E perché non prendere in considerazione aziende di frontiera tecnologica anche se non “sovrapponibili”? “Le mappe sono inutili sulle sabbie mobili” diceva Zigmunt Bauman: al riguardo, riteniamo che in momenti di grande complessità e di discontinuità come quelli che stiamo vivendo sia necessario non limitarsi ad utilizzare schemi tradizionali.

LO SCREENING

Il momento dello screening è forse quello in cui ci si esalta di più: avere di fonte un elenco di aziende, di ruoli ricoperti e di esperienze in grado di risolvere il problema aperto ci può far sentire i padroni della… selezione. Atteggiamento comprensibile, ma pericoloso. Esaminare un curriculum non è come leggere un articolo di giornale: bisogna comprendere la “ratio” che collega le varie esperienze, capire la differenza di aver lavorato in Novartis piuttosto che in Chiesi, in General Electric piuttosto che in FCA, in Barilla piuttosto che in Rana, in multinazionali tedesche piuttosto che francesi, in aziende con a capo un imprenditore piuttosto che in società con a capo un gruppo familiare, in una start up quotata piuttosto che in uno spin off di una multinazionale, in aziende private piuttosto che in aziende pubbliche. Non solo, bisogna conoscere ad esempio cosa significa marketing in Ferrero, innovazione in Stevanato, ricerca e sviluppo in IMA, logistica in Amazon, pianificazione e controllo in Pirelli, operations in Brembo, gestione delle risorse umane in Autogrill. Si tratta di un know-how che non si apprende passando unicamente ore su Internet, sfogliando riviste o partecipando ai convegni, anche se ciò è in ogni caso utile. E’ un know-how “filtrato” nel tempo, frutto soprattutto di quella competenza esclusiva e distintiva che si acquisisce curando molte ricerche, facendo numerosissimi colloqui, raccogliendo nel tempo un prezioso patrimonio di informazioni. Questo know-how evita in particolare di incorrere nel rischio, frequentissimo, di esaminare uno o più curriculum e di ritenerli di per sé in grado di risolvere la ricerca, ancor prima di incontrare i candidati, condizionando così l’iter delle interviste. Ecco perché prima abbiamo sottolineato la pericolosità di un atteggiamento tendente a privilegiare la frettolosità a scapito di quel rigore metodologico indispensabile nel guidare in modo corretto l’intero processo di selezione e che alla fin fine consente anche di essere ragionevolmente rapidi.

L’INTERVISTA

L’intervista è ritenuta, anche comprensibilmente, il cuore della selezione. E’ vero, ma l’intervista trae benefici enormi da tutto il lavoro che la precede: il buon “lavoro a monte” permette di concentrarsi sulle candidature ritenute più interessanti e di non disperdersi. In fondo il processo di selezione è una specie di imbuto, che piano piano si va restringendo. Non ci addentreremo nelle varie tecniche e modalità dell’intervista, ma vorremmo concentrarci su alcuni aspetti che per esperienza consideriamo molto importanti, potremmo dire imprescindibili, per l’impostazione corretta dell’intervista.

Non va mai dimenticato che l’intervista è un incontro a due vie e non bisogna mai dimenticarlo. Le parti in campo – azienda e candidato – si valutano a vicenda e non bisogna mai cadere nel tranello per cui è la sola azienda a “guidare la danza”, anche se in certi casi ha il coltello per il manico come quando, ad esempio, si trova di fronte ad un candidato che non è in costanza di rapporto di lavoro. L’azienda ha poi due “impegni” prioritari. Il primo è quello di fornire un quadro trasparente della selezione in termini di contenuti del ruolo, struttura organizzativa, prospettive ed eventuali criticità. Il secondo è quello di mettere in evidenza i tratti peculiari e distintivi della cultura, della storia e dei valori aziendali, che per nostra esperienza possono influenzare fortemente il successo dell’inserimento e del prosieguo della carriera. Altro aspetto di fondamentale importanza riguarda la composizione del team aziendale coinvolto nel processo di selezione. Ognuno ha nel bene o nel male il proprio stile nel condurre l’intervista che generalmente non è modificabile più di tanto. Ciò che deve essere assolutamente evitato è l’atteggiamento di colui che può ritenere il candidato intervistato una potenziale minaccia al suo ruolo, al suo prestigio o alle sue “comodità”. La selezione non dovrebbe mai essere a “saldo zero”, ma possibilmente dare sempre del valore aggiunto. Ricordiamo quello che scrisse Thomas Eliot: “In una terra di fuggitivi, colui che cammina nella direzione contraria sembra stia fuggendo”.

LA SCELTA FINALE

Le interviste fatte impongono naturalmente uno sbocco finale, implicito già nella etimologia stessa della parola selezione (dal latino seligere, derivato da legere: prendere, scegliere). L’atto dello scegliere è assai frequente nella nostra vita: dalla verdura al mercato ad un profumo, da un libro ad una autovettura, da un indirizzo scolastico ad un cellulare. Magari non ce ne rendiamo conto ma scegliamo in continuazione. La scelta richiede necessariamente di poter disporre di una varietà attentamente ragionata di opzioni, in linea con il bisogno che deve essere soddisfatto: nel caso della selezione si tratta di una posizione organizzativa che deve essere ricoperta. Caratteristica della scelta che avviene al termine dell’iter di selezione è di essere fatta all’interno di una rosa specifica, limitata nel numero dei candidati e talora “pressata” dai tempi. Una rosa per essere tale non può essere alimentata senza fine: questo è il rischio che si può correre utilizzando i nuovi strumenti digitali che sono in grado di fornire candidature… all’infinito. A differenza di altre situazioni in cui ci si trova di fronte a dover fare necessariamente delle scelte, la selezione ha però un handicap spesso sottovalutato: l’azienda sceglie ma lo fa anche il candidato. Come il candidato si impegna a far bella figura nel corso dei colloqui, così anche l’azienda deve essere attrattiva, oggi come non mai in un mondo molto attento alla comunicazione e alle sue sfumature. Riteniamo però che per essere attrattivi non basta mostrare “effetti speciali”, spesso può essere utile anche condividere un piatto di spaghetti e un bicchier di vino e fare due chiacchere guardandosi negli occhi e stando seduti comodamente, lontano dalle sale riunioni.

CONCLUSIONE

L’esperienza ci insegna che la selezione è un processo complesso, talora irto di ostacoli, pressato anche da tempistiche assillanti. Se si fa mente locale e si calcolano tutti i tempi impegnati dalle varie persone dell’azienda coinvolte nell’iter di selezione (una specie di contabilità analitica) saremo sorpresi dal numero limato delle ore impegnate. E’ un calcolo che ci permettiamo di suggerire. Sicuramente il processo di selezione nel suo complesso trae e trarrà sempre più benefici dalla tecnologia, in particolare da quella digitale. La tecnologia ci potrà garantire in futuro di individuare il candidato perfetto? Probabilmente no. La tecnologia però ci potrà sicuramente aiutare a migliorare la gestione del processo nel suo insieme, riducendo così il rischio di insuccesso nell’inserimento di nuove risorse.

Ci farà piacere se il nostro contributo, che si è limitato a considerare solamente alcuni aspetti della selezione e che è frutto della nostra esperienza lavorativa e accademica, potrà contribuire a tener vivo il dibattito sulle risorse umane, dibattito quanto mai bisognoso di linfa fresca e di rinnovate idee.

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